Dalle pareti vitree della serra si insinua la notte, tinta di un colore così scuro e denso da imporsi come muro della struttura, solo il tetto fa un po’ di spazio alla luna. Ma è un’oscurità che non cela, raccoglie, piuttosto, i corpi e le voci che si trovano al suo interno. Una stanza ingombrata da coperte e materassi di gomma, sconosciuti stesi di fianco a sconosciuti e dalla mezzanotte all’alba un canto che scandisce le ore, vegliando sui cinquanta corpi dormienti, fino all’arrivo delle prime luci del giorno.
Il 21 settembre, le Serre dei Giardini Margherita di Bologna hanno ospitato il Collettivo Amigdala che ha portato in scena Elementare una performance vocale della durata di una notte. Questo è stato uno dei diversi eventi proposti da Kilowatt nel suo progetto Serra Madre – un’azione che si pone come obiettivo la riqualificazione dei Giardini Margherita di Bologna.
Quello di Amigdala è uno studio sulla voce: quarantacinque minuti di canto a cappella, intervallati da pause di quindici, venti minuti, per un totale di cinque cicli. Malleabili, limpide, perfettamente armonizzate, le incredibili voci di Meike Clarelli, Elisabetta Dallargine, Vincenzo Destradis, Davide Fasulo, Fulvia Gasparini, Antonio Tavoni guidate dall’abile direttore del coro Davide Fasulo. Quello che viene chiesto al pubblico è semplicemente l’ascolto, si può restare svegli aspettando l’alba, come abbandonarsi al sonno, perché questo non è uno spettacolo.
Il pretesto è l’attesa, in una stanza fatta di letti precari e coperte ammassate, in uno spazio che non odora di casa ma lascia la sensazione di un rifugio per sfollati. Una veglia che ha un ideale forte, ma che non pretende nulla da chi vi partecipa. Si pone piuttosto come un atto d’amore, perché cantare un’intera notte per qualcuno che sta dormendo è forse uno dei gesti più puri che si possano compiere.
Questo è un teatro che ha un sapore d’antico, del rituale, e il peso di un sacrificio. Allude a simboli semplici: il mito, la voce e quella paura primordiale del buio che porta l’uomo a stringersi nella comunità. Asseconda e accompagna l’attesa cercando di alleggerire l’anima di chi veglia. Un teatro che non pretende di essere teatro, cercando un gesto, una reazione nello spettatore che è invitato ad andarsene quando preferisce, a uscire e rientrare se ne avesse bisogno e a dormire. Allo stesso tempo è pregnante la dimensione del rito, guidato nelle sue fasi da un coro di matrice tragica, simultaneamente oracolo e sacerdote.
Elementare, allora, è il punto zero, l’origine, un canto viscerale che rischiara la notte.
ELEMENTARE – COLLETTIVO AMIGDALA
Progetto e idea: Collettivo Amigdala
Musiche originali: Meike Clarelli
Drammaturgia sonora: Davide Fasulo, Meike Clarelli
Conduzione coro: Davide Fasulo
Con le voci di: Meike Clarelli, Elisabetta Dallargine, Vincenzo Destradis, Davide Fasulo, Fulvia Gasparini, Antonio Tavoni
Testi: Gabriele Dalla Barba
Scena: Sara Garagnani Con La Collaborazione Di Silvia Tagliazucchi
Cura: Federica Rocchi
Intervista al Collettivo Amigdala per Elementare
Amigdala è un’associazione di promozione sociale e un collettivo artistico con sede a Modena. Opera nell’ambito delle arti contemporanee e performative, con un forte interesse per la rigenerazione urbana e l’innovazione civica. Il collettivo realizza produzioni multidisciplinari, privilegiando approcci site-specific e community-specific, tra cui performance, arte pubblica, installazioni e soundscapes. Questi progetti, fortemente legati ai luoghi in cui si svolgono, vengono presentati in festival e iniziative sia in Italia che all’estero.
Dal 2017, Amigdala gestisce OvestLab, in collaborazione con il Comune di Modena e l’associazione Archivio Architetto Cesare Leonardi, il quale funge da centro culturale multidisciplinare e fabbrica civica, supportando la re-immaginazione collettiva degli spazi urbani.
Di seguito l’intervista a Federica Rocchi, curatrice artistica e project manager, nonché fondatrice del Collettivo Amigdala:
Sul vostro sito avete scritto di cercare sempre un forte legame con il luogo in cui create la vostra performance. Che legame avete instaurato con le Serre dei Giardini Margherita?
Con questa replica di Elementare non c’è stato un lavoro di radicamento nel territorio, in quanto questa è una performance che viaggia da tanti anni e attraversa tanti luoghi, per cui ha assunto una sua autonomia sia a livello di spazi che di durata. In generale, però, il tipo di lavoro su cui si è focalizzata Amigdala è assai legato all’attivazione delle comunità e dei territori. È un lavoro fortemente localizzato, che si crea a partire dalle condizioni e dal contesto ambientale specifico del territorio. La nostra, è una pratica trasversale che va dalla produzione artistica, all’ospitalità, a pratiche di attivazioni e ingaggi di comunità, i quali portano sempre con sé dei semi da cui poi attingiamo per i nostri lavori artistici.
Le Serre dei Giardini Margherita sono comunque per noi un luogo molto importante, in quanto uno dei centri culturali più belli e innovativi d’Italia. Le Serre sono state un vero e proprio apripista nel mondo dei centri culturali ibridi del territorio italiano. Anche noi gestiamo un centro culturale a Modena che si chiama OvestLab. Questo resta però un luogo che amiamo tantissimo e che anche in futuro sarà davvero prezioso, per cui siamo davvero contenti di partecipare all’evento di inaugurazione.
Che significato ha per voi lo spazio urbano? Qual è la vostra concezione di luogo teatrale?
L’approccio di Amigdala ha sempre mosso a partire da un interesse per delle forme e dei linguaggi artistici che sconfinano dal teatro. Il nostro linguaggio ha poco a che fare con la black box, e molto di più con lo spazio urbano, con uno spazio che è in qualche modo deformato, aperto, circolare. Nel caso di Elementare è uno spazio a pianta circolare ma è anche uno spazio aperto, dove il pubblico viene addirittura invitato a dormire. La performance inizia proprio con una mia dichiarazione: “non siamo in uno spettacolo”, poiché è un lavoro più vicino al rito che all’idea di spettacolo in senso stretto. Il rapporto con gli spazi altri è sempre stato forte, fin dall’origine, come è molto forte il rapporto con lo spazio pubblico inteso sia in senso geografico, quindi lo spazio pubblico della città, che in senso relazionale, ossia in che modo il progetto performativo costruisce uno spazio pubblico condiviso, con un pubblico di riferimento. Il nostro interesse primario è sempre quello di generare delle forme di collettività e pluralità che si traducano in uno spazio pubblico condiviso.
Leggendo la presentazione di Elementare, la prima suggestione è stata quella del rituale, un sapore di antichità e collettività… Dove si trovano le origini del vostro teatro?
In senso generale c’è un rapporto molto forte con la dimensione vocale e spaziale. Ciò deriva anche dalla costruzione del nostro gruppo, siamo un gruppo multidisciplinare che mette insieme linguaggi e saperi di provenienza molto diversa: c’è chi viene dal teatro, ma abbiamo anche una ricercatrice vocale, musicisti, una psicofonista, c’è un architetto, un artista visivo… Ci sono diversi saperi in gioco che portano all’interno interessi e punti di vista differenti. La ricerca sulla voce non è però l’unico “pezzo”, infatti, per noi sono molto importanti anche la creazione di architetture e drammaturgie dello spazio, anche itineranti, ma che si pongano in una relazione specifica con lo spazio in cui si trovano. Un altro pezzo è legato al concetto di archivio e di memoria, che si traduce in una raccolta di testimonianze che raccontano frammenti della storia di un luogo.
Mi incuriosisce molto la vostra ricerca sulla voce e sulla funzione del coro, ha un sapore di teatro greco… per voi cosa rappresenta?
Il nostro interesse vocale non è solamente legato al canto, ma anche alla possibilità e alla capacità di prendere parola e alla voce intesa come unicità dell’individuo, che ha un valore politico, e che spesso si traduce in coralità, dove anche la coralità ha un suo legame con la sfera politica.
Intervista a Kilowatt per Serra Madre
Kilowatt è un modello innovativo e modulare che funge da incubatore di idee ad alto impatto sociale e ambientale. È una cooperativa di lavoro composta da varie realtà attive nei settori dell’innovazione sociale, economia circolare, comunicazione e rigenerazione. Kilowatt sviluppa progetti in tre ambiti principali: Consulting, che offre consulenza e progettazione per rigenerazione urbana e innovazione sociale; K2, dedicato alla comunicazione e alla brand strategy; Education, che sperimenta nuovi modelli educativi inclusivi.
Il progetto mira a creare nuove opportunità lavorative, collaborazioni e spazi di inclusione, favorendo lo sviluppo di imprese in un contesto di contaminazione culturale. Basato su una partnership pubblico-privato, Kilowatt si sviluppa negli spazi rigenerati de Le Serre dei Giardini Margherita, promuovendo modelli sostenibili per rispondere alle sfide del mercato del lavoro e del welfare.
Proprio da questo progetto di rigenerazione de Le Serre dei Giardini Margherita, prende vita Serra Madre, con l’obiettivo di rafforzare e innovare l’offerta artistica e culturale. Il progetto mira a creare un centro di produzione artistica che metta in connessione la ricerca scientifica e umanistica, le aziende e l’arte, affrontando sfide cruciali come la sostenibilità e il cambiamento climatico.
Radicato nel percorso di ricerca avviato con il Festival Resilienze, che da quattro anni utilizza l’arte per affrontare le grandi trasformazioni globali, il progetto ha recentemente vinto il bando Culturability 2020. Le Serre si trasformano da hub stagionale a un ecosistema più ampio, diventando un centro permanente di produzione artistica e culturale. L’obiettivo è creare un laboratorio in cui l’arte contribuisca a comprendere la complessità e a costruire immaginari positivi per ispirare azioni di cambiamento. Il progetto adotta un approccio inclusivo e partecipativo, dove sostenibilità ambientale e cultura si integrano per immaginare un futuro sostenibile.
Di seguito l’intervista a Nicoletta Tranquillo, socio di Kilowatt:
Il vostro è un progetto iniziato diversi anni fa. State riuscendo a rispettare i vostri obiettivi?
Kilowatt ha avviato il suo progetto di rigenerazione urbana a base culturale dieci anni fa, dopo aver vinto un bando per la riqualificazione dei Giardini Margherita. Quattro anni fa il comune ha messo al bando anche le Serre, che erano l’ultima parte rimasta abbandonata in questa zona, per cui ci siamo occupati anche di questa rigenerazione che avrebbe concluso tutto il percorso. Abbiamo deciso di dedicare lo spazio, che si chiama Serra Madre, alla previsione e all’immaginazione ecologica. Il nostro obiettivo è quello di fare cultura ecologica attraverso il dialogo trans disciplinare, in particolare tra la ricerca artistica e le scienze, sia ambientali che umane. In realtà la nostra ricerca sul pensiero ecologico attraverso l’arte e la cultura va avanti da anni, abbiamo avuto un festival, Resilienze Festival, dove già avevamo iniziato a parlare di temi ambientali attraverso i linguaggi dell’arte. Non è quindi un lavoro per noi nuovo, ma ora abbiamo uno spazio in cui poterlo sviluppare, in cui poter attivare residenze e progetti, sia di altri che nostri. L’obiettivo è rimasto quello di allenare l’immaginazione ecologica attraverso pratiche artistiche che non stimolino solo la nostra parte intellettuale ma anche quella dell’esperienza.
Come influisce Serra Madre nel vostro bilancio per il 2024?
Con l’apertura di Serra Madre abbiamo sicuramente raggiunto un grande obiettivo. Di solito iniziamo a raccogliere i dati verso inizio gennaio in modo che il bilancio sia pronto per marzo, poiché si tratta di un bilancio che guarda a tutti i progetti di Kilowatt. Quindi, non solo le Serre ma anche l’asilo, il ristorante, o tutte quelle attività che proponiamo come supporto all’avvio d’imprese a impatto sociale. Veniamo da anni difficili, poiché la riqualificazione di quell’immobile è stata più costosa del previsto, però le cose stanno migliorando. Serra Madre ha influito davvero molto sul bilancio, è stato un grosso investimento, per cui stiamo negoziando con il comune una concessione lunga.
Quali sono i prossimi passi che intendete seguire?
I prossimi anni saranno interamente dedicati a far funzionare questo spazio. Per come abbiamo sempre gestito le Serre, possiamo dire che gli spazi rigenerati vivono alimentati da tante realtà, per cui questo sarà un obiettivo per i prossimi anni ma che abbiamo già iniziato ad attuare. Vogliamo creare una comunità in questo spazio.
Che funzione ha per voi l’arte nel raggiungimento del vostro obiettivo?
Io mi sono sempre occupata di temi ambientali, anche vent’anni fa quando non se ne parlava tanto ma è negli ultimi anni che, per me, è diventato abbastanza evidente come il discorso si sia concentrato molto solo sulle soluzioni tecniche, senza considerare un cambiamento culturale. A mio avviso, è invece necessario lavorare sulla cultura. Per questo l’arte. Ma anche perché siamo costantemente bombardati da dati e informazioni mentre c’è bisogno anche di allenare un altro tipo di sentire – perché è evidente che i dati e le informazioni non ci stanno salvando. L’arte per me ha questo doppio ruolo.