Mostrarsi fragili, esporsi. Ricucire le proprie ferite e quelle degli altri. In un posto sicuro, un rifugio. A teatro. Un teatro che diventa spazio pubblico, si apre al mondo per ripararlo. Queste le istanze da cui muovono le scelte del programma di Umbria Factory Festival per l’edizione 2024 e in particolare per il primo fine settimana folignate, dove emergono le tematiche legate alla necessità di risanare una frammentazione sociale con un atto di condivisione. Realizzato da Zut! in collaborazione con La Mama Umbria International, il festival, che si svolge in tre weekend (da fine settembre a metà ottobre) e attraversa le città di Spoleto e Foligno, accoglie linguaggi multimediali e si mostra aperto a nuove forme di teatralità in performance partecipate rivolte alla comunità. Raccolta non filtrata delle fragilità dell’artista e poeta urbano Dario Pruonto è una di queste. Si tratta di un rito volto al ricucire insieme delle ferite: ferite individuali, sociali, collettive. Come asserisce l’artista a conclusione della performance, l’azione costituisce una piccola provocazione, è un invito a cessare le ostilità, nell’atto del chiedere resa, sbandierando le proprie fragilità. L’azione performativa consiste in una camminata che prende avvio dallo Spazio Zut!, dove l’artista consegna a nove partecipanti del pubblico una bandiera bianca sulla quale è ricamato un frammento poetico, e termina a Porta Romana, vicino all’infopoint del festival, dove l’artista, servendosi di una scala, appicca le bandiere da un lato e dall’altro delle mura dei palazzi. Il ricongiungimento è avvenuto, la poesia è stata ricucita, come un po’ anche le nostre ferite: «Arrendersi/in mezzo al ronzio del mondo/galleggiando, lì dove comincia il cielo/frattali di noi eseguono/esercizi forzati di solitudine dentro/strazianti amori sinceri/ci ricuciamo a vicenda/finché non ci sia un luogo, che sia di tutti/per poter piangere da soli/le nostre lacrime ridendo».
L’idea di frammentazione emerge anche nell’aspetto formale dello spettacolo di danza Strings, dove i movimenti della ballerina sono scattosi, spezzettati, simili a quelli di una marionetta. Strings costituisce un primo studio: è la restituzione di un lavoro di residenze di Ilenia Romano. In scena la danzatrice, che occupa, “abita” e scrive con la sua danza la parte sinistra del palco di Spazio Zut!, e il musicista Giacomo Piermatti, seduto a destra con il contrabbasso. La danza procede per analogia con la musica: il corpo dipende da quest’ultima, la segue; solo in alcuni momenti si distacca e sembra voler acquisire una sua indipendenza. La separazione tra danza e musica scompare: Il corpo si fa suono, ma anche l’inverso, il suono acquisisce materialità incarnandosi nel corpo dell’artista.
La tematica della separazione dell’individuo rispetto alla società emerge nella performance itinerante Città sole della compagnia Lacasadargilla. Città sole è stato realizzato come podcast/performance urbana per il Piccolo Teatro di Milano e di volta in volta viene riadattato a nuovi spazi e ai vari contesti urbani. Il testo, riduzione dal libro Città sola di Olivia Laing, è stato registrato dagli attori della compagnia Lacasadargilla per essere ascoltato in cuffia dagli spettatori partecipanti, mentre camminavano per le vie della città di Foligno. Le tracce audio erano collegate tra loro da una stessa tematica, la solitudine nelle città, raccontata prendendo ad emblema le vite e il lavoro artistico di quattro individui ai margini della società: Edwuard Hopper, Henry Darger, David Wojnarowicz, Zoe Leonard.
Nello spettacolo Con la lingua sulla lama di Tostacarusa, con la regia e la drammaturgia di Tolja Djokovic, la frammentazione acquisisce una forma più interiore e al tempo stesso universale. È l’individuo umano – nella sua essenza cosmica – frammentato internamente, disperato tragicamente. A rappresentarlo all’Auditorium Santa Caterina è Aura Ghezzi, unica attrice in scena, che all’inizio del suo monologo gira attorno agli spettatori seduti in cerchio, portando in braccio un neonato in fasce: lo posa a terra, urla, mentre con le mani si copre il volto. A questo punto entra nel cerchio, dimenandosi sul pavimento disperatamente. Si alza e inizia a parlare fissando di volta in volta un diverso spettatore; gli occhi umidi, sull’orlo del pianto. Si siede nel cerchio, cambia posto. Narra storie, pezzi di storie: sono immagini frammentate, sogni, forse ricordi di altri tempi. Nel complesso, la performance si rivela come un primo studio di un lavoro in evoluzione, ma ha con sé l’essenza di un sentimento cosmico e primordiale: tocca una parte di noi legata al mistero, al segreto, al non detto, alla natura che si rivela senza rivelarsi, alle possibilità, alle storie, all’essere tutto e nulla insieme. Al dolore che accomuna.
Il tema della condivisione del dolore è presente anche nella performance partecipata Rifugio di Michele Bandini e Maël Veisse. Rifugio prende il nome da una struttura di legno con delle vetrate – simile a un rifugio di montagna – progettata e costruita dall’architetto Maël, che occupa quasi metà dello spazio dell’Auditorium Santa Caterina. Michele Bandini e Maël Veisse invitano gli spettatori a togliersi le scarpe e indossare delle ciabatte apposite, artigianali. Dalle vetrate del rifugio si intravede l’interno, dove i due performer, una volta entrati, iniziano a preparare il tè. Bandini con un cenno del volto invita il pubblico a entrare dentro e a unirsi a loro. Anche qui il frammento è presente in un aspetto formale del lavoro e acquisisce valore metaforico: Maël taglia dei pezzi di carta e li mette in un’urna di legno, ogni spettatore è invitato a prendere un foglietto e a leggerlo ad alta voce. Sono frammenti sparsi del monologo recitato da Michele Bandini, che verrà trasmesso poco dopo da un registratore. Nella seconda parte della performance, il pubblico viene invitato a spostarsi all’esterno, a creare un cerchio intorno a un fuoco spento, dove Michele Bandini legge una storia. La performance coinvolge quindi il pubblico direttamente, stimolando l’apertura di tutti i sensi per godere dell’esperienza in maniera totalizzante: ci sono odori e sapori, come quelli del tè; sensazioni tattili, come togliersi le scarpe e indossarne delle altre; ci sono luoghi da abitare, da vivere e condividere. Al ritorno all’interno dell’auditorium, esce del fumo dal rifugio: la casa è in fiamme. L’azione apre a una domanda che per ognuno ha una risposta di valenza personale: che senso può avere per ognuno di noi costruire una casa, viverla, abitarla, per vederla distrutta?
La malattia dell’ostrica – in scena a Spazio Zut! – è una commedia divertente di Claudio Morici, in cui, attraverso il riferimento a biografie di scrittori che si sono suicidati, o hanno avuto malattie psichiatriche, o sono caduti in disgrazia, l’autore tenta di dimostrare che scrivere fa male. Da qui ogni tentativo di distogliere il figlio da tale ambizione che lo stesso rivela di avere. Un monologo in cui l’attore accompagna la narrazione della vicenda all’interpretazione di se stesso come padre e del figlio. Un taglio ironico e distopico, in cui il figlio paradossalmente deve essere salvato dal desiderio di scrivere e indotto a vivere come una persona “normale”, ovvero “nutrendosi” di YouTube e Tik Tok. Il titolo fa riferimento al fatto che la perla che si trova nell’ostrica è in realtà la conseguenza di una malattia. Una malattia dunque – quella dello scrivere – che in fondo vale la pena avere, perché preziosa. D’altronde, come dice l’autore, quella dello scrittore è una missione: il suo è un corpo che supera la dimensione spazio-temporale per raggiungere un altro corpo, modificarlo. E forse un po’ curarlo.
Crediti
Umbria Factory festival è realizzato da Zut! e La Mama Umbria International
Crediti Raccolta non filtrata delle fragilità
di e con Dario Pruonto
insieme ai partecipanti del laboratorio SPAZIO ZETA
Crediti Strings
concept, coreografia e danza Ilenia Romano
musica S. Scodanibbio, Voyage that never ends [I-Voyage started, II-Voyage interrupted]
esecuzione musicale dal vivo Giacomo Piermatti
luce Leonardo Badalassi
collaborazione drammaturgica Roberta Nicolai
produzione PinDoc
col sostegno di Teatro del Carro/Residenza Artistica MigraMenti-Badolato, Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni, ResiDance-azione del Network Anticorpi XL, CSC-Centro per la Scena Contemporanea/Bassano OperaEstate Festival Veneto, IntercettAzioni/CLAPS Circuito Lombardia, Centro di Residenza della Toscana (Armunia-CapoTrave/Kilowatt)
Crediti Città sola
concept lacasadargilla
con la collaborazione di Silvio Impegnoso
riduzione e drammaturgia del testo Fabrizio Sinisi
paesaggi sonori e regia podcast Alessandro Ferroni
voci narranti Lisa Ferlazzo Natoli, Tania Garribba, Emiliano Masala
coordinamento artistico Benedetta Boggio
con la collaborazione di Silvio Impegnoso
Città sola #variazione5 è produzione Bluemotion, Angelo Mai e lacasadargilla
in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa
Crediti Con la lingua sulla lama
Ideazione tostacarusa
con Aura Ghezzi
drammaturgia e regia Tolja Djokovic
consulenza costume Sandra Cardini
consulenza sullo spazio Francesco Cocco
produzione E Production, Bluemotion, Spazio ZUT!
con il sostegno di Angelo Mai, C.U.R.A. Centro Umbro di Residenze Artistiche/La Mama Umbria International, ZUT!, Fondazione Armunia, Z.I.A. Zona Indipendente Artistica, Associazione Metandro
Crediti Rifugio
drammaturgia/abitazione/performance/regia/costruzioni
Michele Bandini e Maël Veisse
produzione ZUT!
Crediti La malattia dell’ostrica
di e con Claudio Morici
produzione Teatro Metastasio di Prato