È andato in scena lunedì 21 ottobre presso il Teatro San Raffaele, Solo quando lavoro sono felice, di e con Niccolò Fettarappa e Lorenzo Maragoni.
Lo spettacolo si inserisce nella rassegna PerFormAzione Sociale, che dal 18 ottobre al 3 novembre anima il Municipio IX con 10 spettacoli e 8 laboratori, a cavallo tra il Teatro San Raffaele e la Biblioteca Laurentina. Promossa dall’Associazione Arteº Grado, l’iniziativa ha lo scopo di tessere un dialogo profondo con il territorio creando spazi di espressione e confronto che favoriscano la comprensione reciproca. Tra il 21 e il 29 ottobre la Biblioteca Laurentina ospiterà un laboratorio di fiabe africane, un laboratorio musicale, una sessione di giocoleria per bambini, una lezione di arti marziali indiane e due di creatività per bambini e storie in rima.
Lo spettacolo del duo si presenta come un ibrido tra cabaret e performance. Il dialogo costante con il pubblico è ingrediente fondamentale di una drammaturgia che si regge sul riferimento alla vita quotidiana. L’ineluttabilità del lavoro, la sua intollerabile inevitabilità: ecco il tema, concentrato soprattutto sulla situazione delle nuove generazioni, in maggioranza tra il pubblico. Costrette tra la scelta del grattacielo o della frittata, cioè tra una vita dedita a uno scopo lavorativo, e una spalmata su anni di blanda formazione dispersiva, queste si ritrovano a fronteggiare un mostro che sempre si ripresenta.
Se in un primo momento la messa in scena ci parla di due ragazzi – uno non ancora trentenne, l’altro quarantenne – alle prese con la fatidica lettera motivazionale da inviare alle aziende, nella seconda parte si apre a un dialogo ben più diretto e informale che programmaticamente rompe la quarta parete; durante l’oretta e mezzo di spettacolo il pubblico ride e si diverte.
Niccolò, giovane ribelle marxista affascinato dal luddismo, nella sua totale non accettazione dell’imminenza lavorativa, si ripropone di frantumare con la zappa del nonno lo smartphone ricevuto in regalo per il suo compleanno. Lorenzo, alter ego ben più piantato – folle agli occhi del collega – si lascia lusingare dal compromesso con la vita, e anche nel mandare a quel paese utilizza formule di cortesia. Alessio – non presente tra i titoli di coda, divenuto fondamentale suo malgrado – è un disgraziato del pubblico il cui nome è utilizzato nei più vari modi per sfogare una rabbia mai totalmente repressa. Questo duo+1 costituisce la sostanza dello spettacolo, che si alterna tra uscite di scena in preda alla follia, pacati monologhi recitati in calma subordinazione, canzoncine gradevoli e dal contenuto denso accompagnate da un innocuo ukulele.
Ad un certo punto è una porta a catalizzare le energie incontrollabili di Niccolò – che per sicurezza deve stare ad almeno cinque metri dal pubblico –, simbolo di un addio repentino. Si beve birra, si sputa vomito, si portano candeline e torte di compleanno e si fa il cavalluccio in braccio a Lorenzo; il tutto condito da una malriposta nostalgia verso il mondo classista e guerrigliero degli anni ’70, ormai scomparso in un desolante orizzonte in cui tutto sembra perduto. Il dramma del ragazzo contemporaneo non è la mancanza di possibilità, ma la loro abbondanza.
La visione che ne emerge è divisa – come il finale, recitato alternativamente tra i due – tra pessimismo e ottimismo, mentre si invita caldamente la platea, dati alla mano, a rassegnare le proprie dimissioni, mai rassegnati e sempre dimessi. La statistica gioca un ruolo nell’orizzonte morale dello spettacolo. Vengono riportati i dati di chi si è dimesso dal lavoro, in Italia e all’estero. Si tirano le somme, e viene fuori una realtà o grigia – quella di Lorenzo, che puntualmente accetta le incombenze della vita con rassegnazione – oppure drasticamente bianca o nera – quella di Niccolò, che tra la furia assassina e il rimpianto dell’infanzia si muove solo in orizzontale.
Nella visione idilliaca che una certa americanità vuole venderci, l’individuo è padrone di se stesso, datore e lavoratore allo stesso tempo, libero di determinarsi come vuole. La realtà, ben diversa, genera un attrito irreparabile. L’unica risposta al picco di aspettative che l’oltreoceano ci propina sembra essere la droga… «Piuttosto che dipendenti, tossicodipendenti!» E lì sì che saremo felici; in un mondo che non esiste.
Solo quando lavoro sono felice
di e con Niccolò Fettarappa e Lorenzo Maragoni