Si ride (spesso), si riflette, si empatizza e alla fine ci si commuove un po’.
Il pubblico, profondamente catturato dalla voce ipnotica di Valerio Aprea, si lascia trasportare in questo viaggio spazio-temporale costellato di ricordi e sensazioni appartenenti ad un passato lontano.
E in una domenica pomeriggio di fine ottobre, come una carezza inaspettata, per un’ora soltanto ritorniamo ad essere ciò che siamo stati in un tempo piccolo, quando tutto sembrava possibile.
Tra digressioni e ipotesi future – estrapolate da aneddoti di vita quotidiana della vita di un bambino – da un leggio si sprigiona un’energia abbagliante, anestetizzante: una serie di immagini si propagano nell’aria lasciando il segno dietro e dentro di sé, come quando si pedala.
Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta ha inaugurato il 15 ottobre la nuova stagione del Teatro India.
Tratto da un racconto di Sandro Bonvissuto – la cui scrittura è analitica, riflessiva, ricca di simboli e segni, che parte dal dettaglio per ricostruire ciò che a primo impatto sembra sfuggirci, è il risultato perfetto di un gioco di incastri che Valerio Aprea sapientemente restituisce in scena. Lo avevamo già visto, in questa formula ‘’one-man-show’’ a teatro con i monologhi di Mattia Torre ma ciò che stupisce, ancora una volta, è la sua capacità di alternare, con naturalezza, comicità e drammaticità, calibrando corpo e voce donandosi senza sosta.
Aprea, in questo spettacolo-reading teatrale, trasforma la lettura in una performance che ci fa dimenticare dell’esistenza di un leggio; le parole diventano corpo nell’immedesimarsi in un percorso di crescita che assume i connotati di un racconto universale, collettivo. Le descrizioni precise, che scandiscono ogni particolare, ci mostrano tutto esattamente com’è, come se fosse davanti ai nostri occhi. Una scelta, quella dell’attore, di soffermarsi sulle parole e il loro significato, in un gioco di equilibri che mette al centro della riflessione la consapevolezza dei propri limiti e il tentativo di andare oltre.
La magia che avviene in scena risiede in questa unione: la potenza di un racconto elementare, quotidiano che (r)esiste grazie alla capacità di trasformare quelle parole in materia visibile allo spettatore.
Lo spettacolo-reading teatrale – due atti scanditi da intermezzi musicali che accompagnano Aprea – scava dentro la testa di un bambino che non sa – ancora – andare in bicicletta e che si interroga, con ironia e ingenuità, a partire da questa mancanza, sul suo rapporto con il mondo e le persone che lo circondano. Ciò che turba l’animo del protagonista è il non sentirsi uguale agli altri bambini – che sminuiscono il suo non saper andare in bicicletta – e l’incapacità di colmare questa sua differenza, così vitale, così necessaria. Il problema, dunque, non sembrerebbe soltanto il suo non saper andare in bicicletta (problema che comunque esiste e turba il protagonista della storia rendendogli quasi impossibile il rapporto con i suoi coetanei) ma il suo rapportarsi con la mancanza. Ma come si impara ad andare in bicicletta? Si chiede il bambino. Nessuno risponde, nessuno lo sa, eppure sembra così semplice. La soluzione arriva soltanto all’ultimo giro di giostra: solo i padri custodiscono questo enorme segreto.
E in questa scoperta, Valerio Aprea, si fa carico della storia cucendosela addosso sfruttando sua dirompente espressività – quasi da caratterista – che arriva puntuale e decisiva a rincarare la dose per coinvolgere lo spettatore, che senza difficoltà si sente parte del gioco.
La bicicletta, dunque, assume un valore che va aldilà del suo (semplice) ruolo: per diventare adulti serve lasciarsi andare trovando il proprio equilibrio. Ed è proprio nella paura di non farcela (a diventar grande) che il protagonista, inconsapevolmente, imparerà senza imparare a trovare il suo modo di stare al mondo. Al padre, che simbolicamente comparirà soltanto sul finale, è spettato il compito più importante: insegnare ad andare.
Tutto senza preavviso, in un giorno di metà estate, al calar del sole, per la prima volta, lo sguardo del padre si posa sul bambino – ormai già grande – pronto a pedalare.
Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta
di Sandro Bonvissuto
con Valerio Aprea
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Flautissimo Festival