Beati Voi che pensate al successo, noi soli pensiamo alla morte e al sesso, si appropria di una poesia del 1980 di J. R. Wilcock dal titolo Sul progresso, concetto sfacciatamente riassunto in due versi:
«Beati loro che pensano al progresso:
io solo penso alla morte o al sesso».
La dichiarazione lascia poco spazio agli equivoci. In quarant’anni il sentimento non è cambiato, ma il gioco dialettico tra l’“io” e il “noi” sì. Nel ventunesimo secolo il progresso avanza sanguigno e sembra che l’unico modo per contribuire alla sua evoluzione sia quello di curare il proprio successo personale. E se Wilcock, «solo», voleva prendere le distanze da una società troppo capitalista rifugiandosi nei bisogni primordiali dell’umanità, il Gruppo della Creta denuncia il disagio di una società sempre più opprimente nei confronti dei suoi individui.Ecco allora che il successo si traduce nella necessità di fare le scelte giuste: nel lavoro, nella vita privata e persino nelle passioni. Quelle scelte che, se azzeccate, promettono di renderti «la miglior specie di uomo sulla Terra». La morte, invece, è un tabù da non sfiorare, appropriata solo per i poeti e le loro metafore e il sesso non è più piacere, ma oppressione patrircale, silenzi e disagio.
La drammaturgia di Tommaso Cardelli, Alessandro di Murro e Tommaso Emiliani – in scena dal 14 al 17 novembre al Teatro Basilica – affronta alcuni dei disagi più profondi della nostra epoca con cruda ironia. Una performance che usa il linguaggio del teatro ma che non vuole estraniarsi dalla realtà. Un “qui e ora” palpabile in tutte le sue forme: a partire dal sipario, che è aperto all’entrata del pubblico e svela gli attori già sulla scena, mentre fumano e chiacchierano tra loro, seduti su un divano gonfiabile, dando le spalle agli spettatori. Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda e Laura Pannia rinnegano lo status di personaggi, entrando in scena con i propri nomi. Una quarta parete che non viene mai innalzata, grazie al prologo del regista, Alessandro di Murro, che anticipa la genesi dello spettacolo, ammettendo candidamente di non essere certo della sua riuscita.
Lo spettacolo si articola in tre momenti, che lavorano per ossimori o somiglianze. Il primo è un dialogo serrato sulla morte. Asettico, inaspettato e sempre più frenetico, costringe lo spettatore a confrontarsi con un tema che solitamente si evita, mascherato da una patina poetica o respinto per imbarazzo.
Il secondo momento presenta il concetto di successo come una corsa forsennata verso uno status da raggiungere. Gli attori diventano i partecipanti di una giostra a premi, dove il rischio di fare la scelta sbagliata è costante, e tornare indietro sembra impossibile.
Il terzo momento, il più esplicito, abbandona un’ironia sempre più esasperata per toni crudi e diretti. Emozionante e mordace Laura Pannia, che denuncia quel sentimento di umiliazione provato dalle donne quando vengono oggettificate e sessualizzate, e poi zittite: “Perché non sanno stare al gioco. Perché sono frigide. Perché non accettano un complimento.”
A spezzare la tensione l’italianità stereotipata che ci contraddistingue: un caffé, dei pasticcini e la chitarra, per ricordarci che nuotiamo – o affoghiamo – tutti nello stesso mare e i discorsi seri servono solo ad appesantire la vita.
BEATI VOI CHE PENSATE AL SUCCESSO NOI SOLI PENSIAMO ALLA MORTE E AL SESSO
intorno alle opere di Juan Rodolfo Wilcock
drammaturgia di Tommaso Cardelli, Alessandro di Murro e Tommaso Emiliani
regia di Alessandro di Murro
musiche originali di Enea Chisci
con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda e Laura Pannia
scene di Paola Castrignanò
costumi Giulia Barcaroli
disegno luci Matteo Ziglio
direttrice organizzativa Bruna Sdao
direttore della comunicazione Cristiano Demurtas
foto di scena Simone Galli