Dal 28 novembre al 1 dicembre, in scena, su ogni dispositivo digitale, i quattro progetti artistici vincitori del Bando delle Residenze Digitali, proposto dal Centro di residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt).
L’obiettivo è quello di investire su progetti artistici che nascano direttamente nel web e in esso si sviluppino, prevedendo modalità interattive con le quali relazionarsi ad uno spettatore online.
Residenze Digitali è un progetto nato nel 2020, da un’idea del Centro di residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt) ma realizzato in sinergia con l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, il Centro di residenza Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale), l’Associazione ZONA K di Milano, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche (La Mama Umbria Umbria International – Gestioni Cinematografiche e Teatrali/ZUT – Centro Teatrale Umbro – Micro Teatro Terra Marique – Indisciplinarte), il Centro di produzione di danza e arti performative Fuorimargine di Cagliari e l’Associazione Quarantasettezeroquattro (In\Visible Cities – Festival urbano multimediale) di Gorizia.
Durante i mesi nei quali vengono sviluppati i progetti vincitori del bando annuale, gli artisti ricevono un sostegno economico per la creazione e vengono affiancati dal tutoraggio di Marcello Cualbu, Laura Gemini, Anna Maria Monteverdi e Federica Patti, esperti in creazione digitale. Il progetto prevede infine una restituzione online per il pubblico, la quale si si svolge a novembre, in un evento chiamato “La settimana delle Residenze Digitali” che prende vita sulla piattaforma Twitch.
Nell’edizione 2024, si è parlato di etica, di spiritualità e di percezioni sensoriali nell’epoca del digitale, ma anche di infocrazia, di controllo e di libero arbitrio, fondendo i linguaggi del teatro e della performance con quelli dell’intelligenza artificiale.
Di seguito una panoramica dei quattro progetti vincitori di questa edizione:
SPAZIO LATENTE, ovvero l’etica
Spazio Latente, il progetto di Filippo Rosati, vuole essere una riflessione sull’etica che da sempre impone dei limiti al progresso scientifico. L’esperienza si svolge in un «teatro anatomico virtuale», dove il pubblico assiste all’innesto di un impianto cerebrale su P1, un’entità digitale con sembianze umanoidi. A chi assiste viene chiesto di prendere parte attiva all’operazione, scegliendo quali ricordi cancellare dalla memoria del paziente e quali creare ex novo per inserirli. Prima di compiere queste scelte il pubblico ha la possibilità di interagire con P1 tramite la chat di Twitch, finendo per porgli quelle domande che solitamente si pongono alle AI per indagare il loro grado di “umanizzazione” e verificare se provano sentimenti ed emozioni.
La performance gioca su due livelli: da un lato il bisogno dell’uomo di proiettare sulla tecnologia una qualche sorta di “umanità”, dall’altro – dando un aspetto antropomorfo all’entità digitale – risveglia il timore dell’essere umano di essere leso dalla scienza. L’idea di un microchip cerebrale, seppure utopica, non appare più irrealizzabile e solleva complesse questioni etiche. Proprio su questa indagine, ossia che cosa significhi essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale, si fonda Umanesimo Artificiale, l’associazione creata da Filippo Rosati. La risposta emerge limpida e prevedibile: l’uomo avrà sempre bisogno del sentimento per sconfiggere la paura di un mondo sempre più artificiale.
METABOLO II: ORINTHYA, ovvero la sensorialità
Lo spazio digitale è uno spazio atipico, in quanto solitamente vengono attivati solo due dei cinque sensi: udito e vista. Metabolo II: Orynthia di Valerie Tameu, cerca un modo per coinvolgerli tutti creando una performance che fonde il digitale con la ritualità neo-pagana. Il punto di partenza è l’acqua e la leggendaria figura di Mami Wata, divinità acquatica mutaforma dell’Africa occidentale ed equatoriale. L’esperienza inizia in uno spazio creato con la realtà virtuale, dove il pubblico può interagire con diversi elementi: frammenti di video, suggestioni visive e l’ascolto di una voce guida. Successivamente si apre una diretta Twitch in cui Valerie Tameu conduce una pratica rituale collettiva, in cui viene chiesto agli spettatori di interagire con oggetti reali: come un bicchiere d’acqua, un bastoncino di incenso, un foglio di carta. In sottofondo, i suoni dell’acqua si intrecciano con le composizioni del sound artist Michele Mandrelli, avvolgendo l’ambiente e amplificando l’immersività dell’esperienza. Alla fine l’intelligenza artificiale da vita a una coreografia digitale, danzata dalla figura stilizzata di una donna, con movimenti tipici delle danze folkloriche e contemporanee.
Un ritorno alle origini, a un’epoca in cui il digitale era del tutto inimmaginabile, per contrastare ancora una volta uno spazio percepito come freddo, asettico, in cui la scienza sovrasta lo spirito e l’umano. Ma la rete permette anche di raggiungere chi è lontano e lo spazio virtuale diventa spazio condivisibile da tutti, luogo metafisico che racchiude e protegge chi cerca un rifugio. Eppure, il problema persiste: l’ambiente virtuale, per quanto inclusivo, rimane distante dalla concretezza del mondo reale. Il coinvolgimento che offre non potrà mai uguagliare la profondità e l’intensità delle esperienze vissute “in presenza”.
RADIO PENTOTHAL, ovvero l’infocrazia
Radio Pentothal è una stazione radio i cui contenuti vengono generati da un programma di intelligenza artificiale, istruita con le graphic novel di Paz e Max Capa, le riflessioni di Bifo, i frammenti di registrazione di Radio Alice. La performance, di Ruggero Franceschini, avviene tramite Zoom, dove gli spettatori sono invitati a intervenire scrivendo nella chat o attivando il microfono e discutendo con l’AI, che appare come una serie di dati proiettati su un muro. A dare voce all’intelligenza artificiale sono quattro attori che si alternano nelle interviste e nelle discussioni, rispondendo con commenti schietti ed eccentrici. Un meccanismo intricato, che non ha avuto la giusta introduzione e ha richiesto del tempo per essere compreso dal pubblico.
Ruggero Franceschini ha dato in pasto all’AI la controcultura degli anni Settanta e ne è uscito un ossimoro interessante: un automa che parla di libertà. Perché l’intelligenza artificiale è malleabile e suggestionabile al punto da riuscire ad interpretare la voce delle radio libere. Allora, non si può far altro che chiedersi: cosa c’è dietro le informazioni che riceviamo?
NON PLAYER HUMAN, ovvero il libero arbitrio
Non Player Human, la performance del danzatore Simone Arganini e del designer digitale Rocco Punghellini, utilizza la figura del “non-playable character” (NPC) per esplorare il tema del libero arbitrio. Questa metafora, ormai parte del linguaggio comune, diventa un pretesto per indagare le dinamiche relazionali e di potere che definiscono i rapporti umani.
Nei videogiochi, gli NPC sono personaggi controllati direttamente dal giocatore, che prende decisioni per loro e li guida nella scoperta dell’universo virtuale. Oggi, questa immagine viene spesso associata ai creator che ripropongono il format “nella vita reale”, e lasciano che i propri follower decidano per loro quali azioni intraprendere nel quotidiano: cosa mangiare, cosa indossare o quali attività svolgere. Quella che un tempo era una suggestione tipica di universi distopici alla Black Mirror sembra essere diventata realtà.
Il lavoro di Arganini e Punghellini riflette sull’ambiguità di questo “gioco” apparentemente innocente. Durante una diretta su Twitch, è il pubblico a determinare in tempo reale le azioni che Filippo Arganini, deve compiere, influenzando l’andamento della performance. Un lavoro che affronta un tema cult ma con una prospettiva piuttosto ordinaria, una prova attoriale e una drammaturgia cariche di emozione ma che non aggiungono nulla alla percezione comune del tema.
Quello delle Residenze Digitali è un progetto che vuole dimostrare come il teatro possa trovare una sua dimensione anche nello spazio digitale, affrontando un tema controverso e dibattuto. L’approccio scelto è pertanto cauto e intelligente: gli obiettivi sono semplici ma strategici, come il coinvolgimento attivo del pubblico e il rispetto del limite di operare esclusivamente nello spazio virtuale. Punta sicuramente a valorizzare le peculiarità del digitale, prevenendo la creazione di prodotti ibridi che rischiano di disperdere l’identità tra il virtuale e il reale.
Il problema però non scompare: è questo ancora Teatro?
Il pubblico è presente, i performer quasi sempre – anche se non sempre in carne ed ossa. Uno spazio condiviso esiste, così come l’intelletto umano che dà origine all’impulso creativo.
Il “qui e ora” viene preservato dando agli spettatori la possibilità di intervenire, con l’unica imprevedibilità rappresentata da eventuali problemi di connessione.
Ma la presenza? Fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra materialità, prima di decretare che quello a cui stiamo assistendo non è più Teatro?