Martedì 10 dicembre, al Teatro Vascello, va in scena la prima nazionale di Faust. Lo spettacolo, di Leonardo Manzan e Rocco Placidi, sarà in replica fino al 22 dicembre.
Già nel titolo, si è di fronte a un dirottamento: quel che vediamo non è il Faust di Goethe, ma una sua non rivisitazione. Di fronte a un testo costitutivamente irrappresentabile, gli autori hanno preferito cambiare strada e dare vita a un prologo perenne, in cui il sipario non si apre mai, e dove Mefistofele compare come un intruso. «Da due secoli di distanza, l’autore ci fa un ritratto perfetto in forma di parodia: scrive un Prologo sul Teatro. L’impresario, il drammaturgo e l’attore discutono su quali siano gli ingredienti giusti per fare uno spettacolo di successo. Il risultato è una scena divertentissima, ma anche impietosamente rivelatoria». Il mancato confronto diretto con l’originale sfocia in una sorta di ibrido che, mentre ironizza sulla maestosità dell’opera, in realtà ne fa ampiamente uso come materia prima.
Leonardo Manzan e Rocco Placidi confezionano un lavoro dal buon valore artigianale, caratterizzato da meccaniche teatrali efficaci e denuncianti un ottimo talento registico.
Un banco orizzontale e un sipario chiuso racchiudono due attori e due attrici che impersonano, in abiti formali, i membri di una sorta di conferenza sul testo stesso. Irriverenti e viziati, in realtà incarnano la società che tutto (e dunque nulla) critica in cui viviamo; tramite di loro gli artisti strizzano l’occhio alla realtà teatrale contemporanea, in un gioco di rimandi e polemiche che talvolta rischia di scemare nell’autoreferenzialità. Il ritmo subito cattura e intrattiene. Jozef Gjura, Beatrice Verzotti, Chiara Ferrara e Alessandro Bandini danno vita al quadrumvirato – con l’aggiunta del povero “Maurizio”, malcapitata pescata tra il pubblico che ha ripetuto svariate battute e introduzioni alle scene tramite un copione fornitogli dai colleghi. Chiara Ferrara interpreta ad un certo punto Elena di Troia, la cui testa viene impunemente schiacciata sul tavolo come punizione per non essere passata “all’azione” con Faust. Beatrice Verzotti, come anche gli altri, si abbandona a una serie di dialoghi eseguiti in rutto, e dà vita a spezzoni caratterizzati da una maggiore serietà. Alessandro Bandini balla provocatoriamente sopra al tavolo conferenze ma è capace come la collega di dar vita a toni più composti, mentre Josef Gjura dimostra un fare apparentemente più serio e distaccato, farsescamente contraddetto a ogni secondo dalle sue azioni.
Come a seguire involontariamente la scia di Joker: Folie à Deux – recentemente nelle sale cinematografiche – lo spettacolo è caratterizzato da numerosi brani musicali interpretati vocalmente e fisicamente. Si tratta di porzioni cadenzate di drammaturgia che si ripetono regolarmente – la musica è a cura di Franco Visioli – e costituiscono un ingrediente importante dello spettacolo. «Stacchetti», vengono definiti ironicamente da Alessandro Bay Rossi, cioè Faust; mitigano elementi buffoneschi e musica techno. Si ironizza sul politicamente corretto – ma poi lo si incarna –, sulla mancanza di contenuto della conferenza stessa, e altro.
D’effetto è il momento in cui Mefistofele, interpretato mirabilmente da Paola Giannini, “dirige” gli attori sulla scena accendendo e spegnendo a distanza le lampade che portano sulla testa, come a significare il loro assoggettamento. Irrotto nella scena con fare teatrale, il personaggio incarna per gli autori il riferimento esplicito al testo. Il Mefistofeledi Manzan e Placidi appartiene al mondo del sogno, arriva da un luogo che non esiste più – oppure non è mai esistito; è un personaggio letterario, che tinge dei colori del suo vestito le tende del sipario quando entra, e avanza a suon di giochi di prestigio più o meno fallimentari. Modificando il senso del testo originale – il diavoletto in Goethe viene preso sul serio – gli autori danno vita a un tentatore goffo e sostanzialmente inefficace. Si tratta di un personaggio attempato, che può apprezzare chi ancora crede nel teatro, e appare sfarzoso a chi non ci crede più. Nell’intervista rilasciata dal regista e da alcuni attori per Rai Radio 3, la stessa Paola Giannini dichiara: «Una cosa non è rappresentabile se non ti concedi di crederle.» Forse è proprio l’amarezza degli autori, che si sentono ingabbiati in un mondo culturale segnato dall’eccessivo intellettualismo, che impedisce loro di dare vita a un vero Faust (magari più modesto).
A proposito di serietà, il personaggio di Faust – interpretato da Alessandro Bay Rossi –, impersona l’altra faccia della medaglia. Pacato e poco disposto allo spostamento frenetico, il protagonista dell’autore tedesco è qui un regista disilluso che ha smesso di credere nella vita, come anche nei diavoli e nella fantasia. Solo alla fine sembra che il rapporto tra i due si possa ricucire, e tuttavia l’epilogo è poco efficace perché, dopo l’imponente mole di sarcasmo e decostruzionismo, se si vuole veicolare un messaggio questo deve avere lo stesso peso specifico della sua controparte.
Alessandro Bay Rossi è Premio Ubu 2022 come miglior attore under 35, ottenuto grazie al celebre Cirano deve morire (?), realizzato dalla Compagnia Bahamut, diLeonardo Manzan e Rocco Placidi. Il gruppo arriva al Teatro Vascello con un testo che brilla per originalità, il cui valore emerge dal talento registico e attoriale più che dalla volontà di provocare.
Faust
tratto da Faust I e II di Johann Wolfgang von Goethe
di Leonardo Manzan e Rocco Placidi
con Alessandro Bandini, Alessandro Bay Rossi, Chiara Ferrara,
Paola Giannini, Jozef Gjura, Beatrice Verzotti
regia Leonardo Manzan
scene Giuseppe Stellato
costumi Rossana Gea Cavallo
light design Marco D’Amelio
Music and Sound Franco Visioli
fonico Filippo Lilli, luci
direzione tecnica e datore luci David Ghollasi,
macchinista Giuseppe Russo, assistente scenografo Caterina Rossi,
aiuto regia Virginia Sisti
collaborazione organizzativa Elisa Pavolini
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello,
Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione Teatro della Toscana Teatro Nazionale