Dal 9 al 12 gennaio, il TeatroBasilica di Roma presenta Gramsci Gay, uno spettacolo di Studio Doiz, diretto da Matteo Gatta e interamente interpretato da Mauro Lamantia. Due quadri, due epoche, due personaggi, e un filo rosso che li lega: la figura di Antonio Gramsci.
Dagli altoparlanti, un brusio di voci registrate accoglie il pubblico che pian piano entra in sala. Sembrerebbero quelle di una folla, che sta aspettando qualcuno. Poi, d’improvviso, il brusio cessa, le luci calano. Entra sulla scena, riempita solo di tre file di sedie, un uomo, con indosso un completo beige e un paio di piccoli occhiali rotondi. «Ci siamo tutti?», dice, rivolgendosi al pubblico. L’uomo in questione è il giovane Antonio Gramsci, e noi spettatori siamo quella folla di operai di Torino a cui rivolse il suo discorso, nel 1920, dopo il fallimento dello Sciopero delle Lancette.
«Come è stato possibile fermare uno sciopero cosciente […], un avvenimento straordinario, grandioso?» è la prima questione che pone al suo pubblico di operai torinesi. In una serrata conversazione a tu per tu con gli spettatori, Mauro Lamantia mette in luce diversi aspetti che hanno caratterizzato, in questo frangente, il pensiero del politico e filosofo sardo; spicca, fra tutti, la voglia di instaurare una nuova forma di cultura per gli operai e i contadini, basata sul prendere coscienza, e non più sull’essere un “mero recipiente da riempire di informazioni” altrui. In questa parte dello spettacolo, non mancano i riferimenti al teatro stesso: nel prenderlo a esempio come luogo in cui ognuno ha un proprio ruolo indispensabile per far sì che tutto funzioni – concetto che suggerisce di applicare anche all’organizzazione di scioperi e manifestazioni –, o nell’episodio da lui vissuto a Torino anni prima, durante le prove di uno spettacolo operaio i cui ricavi sarebbero stati inviati ai soldati al fronte. Dalle sue parole e dalla mimica del suo discorso, trapela la grande vicinanza alla classe operaia, alla lotta che, in quegli anni in particolare, questa ingaggiava contro gli uomini di potere.
Il secondo quadro, che si ispira a un altro evento realmente accaduto nel 2019, si apre direttamente in platea. Un giovane uomo dal modo di fare sfrontato, in abiti moderni e sportivi e scarpe da ginnastica, conversa con uno spettatore, che diventa inaspettatamente parte dell’azione. Compa’ lo chiama, con il suo marcato accento siciliano e il suo linguaggio colorito. Parla del più e del meno, di Milano, in cui ha vissuto e lavorato per un periodo, o di quando ha incontrato per caso un noto calciatore. Ma appena varca la soglia del palcoscenico, ritroviamo il giovane in commissariato. Il suo nome è Nino Russo, ed è finito nei guai per aver imbrattato il murales raffigurante Antonio Gramsci posto sul muro del carcere in cui quest’ultimo trascorse cinque anni e nel quale iniziò la stesura dei celebri Quaderni dal carcere. Nel corso dell’interrogatorio, tra domande incalzanti e momenti di rabbia alternata a sgomento, la sicurezza in sé stesso e l’apparente determinazione nelle proprie idee e nelle proprie certezze crolleranno pian piano, rendendo il giovane Nino sempre più vulnerabile agli occhi del pubblico.
Matteo Gatta dirige uno spettacolo che mette in equilibrio due epoche, due persone, due visioni della vita e del mondo completamente differenti, legate appunto dalla figura di Gramsci. Il primo è proprio lui, il politico, pensatore, fondatore del PCI in persona, con i suoi ideali, il suo spirito verso quella che all’epoca era la “classe subalterna”. L’altro, è un giovane dei giorni nostri, dai valori discutibili, autore – inconsapevole – di un atto vandalico compiuto così, quasi per noia, come si evince dalle sue parole, o per rabbia verso un qualcosa più grande di lui. Il poliedrico Mauro Lamantia alterna con estrema naturalezza le due realtà, grazie a un sapiente utilizzo del corpo e della voce, passando dall’espressione e dai movimenti più pacati del primo, intento a esporre i suoi concetti a una folla di operai, a quelli fin troppo disinvolti del secondo, che ammette di non sapere nemmeno chi sia Gramsci. Questi due elementi, essenziali nella recitazione, mettono in luce non solo la facciata, ma anche tutto ciò che c’è dietro il pensiero di due individui tanto diversi tra loro.
Uno spettacolo che riflette sul presente e sul passato, in un arguto e diretto approccio col pubblico, tanto da rendere quest’ultimo un personaggio a tutti gli effetti, in un dialogo dinamico e motivazionale nel primo quadro, rilassato e colloquiale nel secondo. I due personaggi di Lamantia hanno però un tratto in comune: quel senso di amarezza, di insoddisfazione per non avercela fatta. Nel giovane Gramsci del 1920, a causa del fallimento dello sciopero per meri problemi organizzativi interni ai movimenti operai, nel Nino Russo del 2019 per non aver combinato nulla di buono nella sua vita, tanto da essere definito “una delusione” dalla stessa madre. La disposizione della scenografia accompagna la netta differenza tra i due personaggi, rispecchiandone la personalità: dall’ordine, anche cromatico, delle file di sedie alle spalle di Antonio Gramsci, si passa alla confusione delle medesime sedie, ora affastellate e disposte in maniera caotica durante l’interrogatorio di Nino Russo.
Gramsci Gay
uno spettacolo di Studio Doiz
interpretato da Mauro Lamantia
drammaturgia Iacopo Gardelli
regia Matteo Gatta
una produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri
tecnica e voce di Mattia Sartoni
costumi e scene di Gaia Crespi