La leggenda del santo bevitore di Roth-Shammah-Cecchi

Al Teatro India di Roma, oggi (2 marzo 2025) l’ultima replica romana dello spettacolo La leggenda del santo bevitore, prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano, dal romanzo omonimo di Joseph Roth, pubblicato nel 1939 ed edito in Italia da Adelphi. Uno spettacolo che gioca su una solitudine, ma a più dimensioni, da un romanzo che gioca sui giri che talvolta riesce a fare il destino: una ricerca umana che oscilla tra redenzione e senso.

La trama si snoda attorno alla figura di Andreas Kartak, un clochard parigino che vive lungo la Senna, sotto ai ponti, la cui esistenza è piagata dalla dipendenza dall’alcol. Nonostante le avversità, tuttavia, Andreas si ostina con tenacia e guarda con speranza al domani, con fiducia alla possibilità di una buona sorte. 

Ad aprire lo spettacolo, una ragazza (Claudia Grassi): entra in un caffè di Parigi con in mano il libro di Roth, e inizia a leggere. Contestualmente, lo stesso Roth prende vita sul palco, interpretato dall’immenso Carlo Cecchi, che legge il suo racconto al barista (Giovanni Lucini). Un gioco di rispecchiamenti consente a Cecchi di passare da Roth ad Andreas con immensa fluidità. 

La pièce, adattata per la scena da Andrée Ruth Shammah, è fortemente malinconica, di quella malinconia del racconto che non prende vita e corpo sulla scena, ma resta ancorata al “dire”. Regia (firmata dalla stessa Shammah) e scenografia (a cura di Gianmaurizio Fercioni), con il palco costantemente rigato dalla pioggia, appaiono quasi troppo estetizzanti per l’operazione messa in atto. Il dispositivo spettacolare, difatti, ruota attorno alla presenza scenica di Cecchi (classe 1939, stesso anno di parution del romanzo), la cui voce, ricca di sfumature, procede lenta, e contribuisce a rendere indelebile il suo transito nella storia recente della cultura teatrale italiana. 

Il momento forse più emozionante del romanzo-spettacolo è racchiuso in una manciata di righe, senza bisogno di specificare se a pronunciarla sia l’attore o l’autore, se si riferisca al personaggio o all’uomo: «E siccome davanti al suo posto c’era uno specchio, non poté evitare di osservare il suo viso, e fu come fare di nuovo conoscenza con se stesso. La cosa lo spaventò; e subito comprese perché negli ultimi anni aveva tanto temuto gli specchi. Non era bene vedere coi propri occhi la propria rovina. E finché non ci si doveva guardare, era come se non si avesse affatto un viso o si avesse ancora quello antico, che risaliva al tempo prima della rovina».

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