Foto di Tommaso Le Pera

Il teatro che avviene: Ferdinando di Arturo Cirillo

Che il testo – premio IDI nel 1985 e debuttato l’anno seguente con Isa Danieli e lo stesso autore, Annibale Ruccello (1956-1986) – funzioni come un perfetto orologio drammaturgico, è storia nota. Ed è ormai noto anche il talento di Arturo Cirillo, capocomico ancor più che attore-regista (così lo ha definito Guido Di Palma, nel corso di un incontro con gli studenti della Sapienza), per l’opera che da anni porta avanti sui capolavori della letteratura teatrale (e non solo) classica e recente.

Un testo colto, fine, eppure profondamente popolare: Ferdinando testimonia l’irresistibile debacle del Regno delle Due Sicilie di fronte all’Italia che avanza sotto l’egida dei Savoia. Ulteriore sconfitta che si rivela lentissimamente, in maniera quasi imprevista, quella della vecchia nobiltà aspra e gretta, già in decadenza, al sorgere di una giovane borghesia forte di intrighi e carica seduttiva, ma senza scrupoli.

«Un dramma con una struttura classica», lo definisce Cirillo nelle note di regia, ma il cui «aspetto storico» si presta a esser letto come «una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese». Come se la partitura verbale del testo presentasse un intrigo storico teso in fondo a velare la più profonda e autentica essenza dei personaggi: «disperati», «prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine», afflitti «da un inconsolabile bisogno d’amore». Equilibrio grottesco che viene sconquassato dall’arrivo dell’adolescente Ferdinando, ebbro di una giovinezza che, con Sandro Penna, altro non è che un «perenne amare i sensi e non pentirsi».

L’efficacia della regia di Cirillo pare ineccepibile. Il drappo rosso intenso che racchiude lo spazio scenico attira come un mistero, ma respinge per l’asfissia opprimente della malattia, dell’isolamento, del segreto.

Immensi gli attori, dall’inizio alla fine, ma anche – è evidente – sapientemente diretti: il giovane Riccardo Ciccarelli, angelico e smaliziato; Cirillo assegna a se stesso il ruolo del pacato Don Catellino (al debutto interpretato da Ruccello), che solo nel peccato trova l’affermazione della sua umanità, quasi un pecco, ergo sum; Anna Rita Vitolo costruisce una Gesualdina ricca di sfumature, efficacissima nell’incassare un colpo dopo l’altro, prima di sferrare la vendetta; infine, Sabrina Scuccimarra disegna una Donna Gesualda vigorosa e fragile, che nella vertigine del napoletano, «lingua di rappresentazione, non meno del tanto “schifato” italiano», arriva (e noi con lei) a quello stato di grazia e passione che è la dimenticanza di sé.

Voci nude, frontali, cangianti; corpi vivi, in ascolto, che si cercano senza mai dimenticare il pubblico. La maestria con cui, per esempio, Scuccimarra integra nella sua tirata, in maniera organica, il rumore molesto di un aereo di passaggio sopra alla sala B del Teatro India.

Spettacolo di quelli che mozzano il fiato, in cui si ride, si piange, e si ride e piange insieme. Si aggiunge, alla gioia dell’esserne spettatori, quella sensazione disarmante che si verifica quando il teatro è così ben preparato che sembra quasi non si faccia né si fruisca; in quelle rare occasioni in cui il teatro, magicamente e in maniera ineluttabile, avviene.

Ferdinando

di Annibale Ruccello
regia Arturo Cirillo
con Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Arturo Cirillo, Riccardo Ciccarelli

scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
musiche Francesco De Melis
luci Paolo Manti
regista collaboratore Roberto Capasso
assistente alla regia Luciano Dell’Aglio
foto Tommaso Le Pera

produzione Marche Teatro, Teatro Metastasio di Prato,
Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

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