All’Off/Off Theatre di Roma è andata in scena, nella data unica del 6 maggio, Emma B. – Vedova Giocasta, opera teatrale scritta dal noto pittore e autore Alberto Savinio, con la regia di Alessio Pizzech. Il monologo di una madre rimasta sola, che ripercorre, attraverso parole e oggetti, la vita di quel figlio che probabilmente non tornerà più.
Mentre il pubblico prende posto in sala, una giovane donna, una governante, è già sul palcoscenico, seduta. Tra le mani regge una bottiglia di vino. Cala il buio, e l’azione ha inizio proprio con lo stappo di quella bottiglia, quasi a festeggiare un evento, forse l’arrivo di qualcuno. Ed ecco che entra in scena lei, Emma B., la protagonista, una donna, madre di un figlio ormai lontano, che sta però per tornare a trovarla, dopo quindici anni. «Non era sicuro nemmeno di venire», dice, mentre si affanna a sistemare la casa per il gran ritorno.
Inizia così il monologo che la vede protagonista, affiancata da un immaginario interlocutore, suo figlio Millo, appunto. Dalle parole di Emma, il pubblico viene a conoscere il giovane figlio, la sua storia, e quello che è stato il loro ultimo incontro, durante l’occupazione tedesca, nel 1944. Un incontro che ha segnato la vita di Emma, rendendola una sorta di eroina da tragedia greca, una moderna Giocasta, appunto, che nel figlio ha visto le fattezze di un uomo, di un marito.
Elena Croce, diretta da Alessio Pizzech, porta in scena tutto il dramma e tutta la solitudine del personaggio di Emma B., senza tralasciare la componente edipica, da cui l’opera prende il nome: il ricordo intenso, sentito, la porterà a un crescendo di emozioni fino al finale in cui la vediamo ormai vicina al ritorno di Millo, truccata in maniera grottesca, dentro quell’armadio pieno di ricordi che la legano anche fisicamente al figlio. La recitazione di Elena Croce mette in luce i diversi stati d’animo che attraversano la donna: dalla tensione iniziale per l’attesa, che si ripercuote sul tono della voce, passa velocemente alla velata malinconia ma anche alla fierezza con cui racconta al pubblico il rapporto con Millo.
Millo, suo figlio, ma anche “il suo uomo”, non appare mai, e lo spettatore non sa se davvero tornerà come ha scritto nelle lettere indirizzate alla madre; eppure, è a suo modo protagonista anch’egli, nelle parole, nei racconti, negli oggetti che Emma B. tocca in scena, negli abiti riposti con meticolosa cura in quel grande armadio posto al centro del palcoscenico. E diventa protagonista in particolar modo in quel rapporto madre-figlio viscerale, fisico fin dal momento della nascita, che Elena Croce caratterizza unendo armoniosamente il tono incalzante del racconto alla gestualità del corpo. Rapporto che ha inizio col parto, si ripresenta nell’unione in età adulta, e sembra ricorrere anche nei dettagli: non è un caso che anche una delle compagne di vita di Millo, citata da Emma B., lavorava come levatrice.
Alessio Pizzech fa muovere la sua Emma B. in uno spazio casalingo caratterizzato da mobili ricoperti di cellophane, a dare un sapore di stantio, di qualcosa che è rimasto fermo e immutato da quell’ultimo incontro tra la protagonista e il figlio avvenuto quindici anni prima. Spazio che sembra farsi sempre più stretto, fino all’epilogo, nel quale vediamo la donna ormai limitata alla sola cornice del grande armadio, come una marionetta in un teatro di burattini.
Una pièce che porta in scena un tema classico quanto, a suo modo, scandaloso, con un’interpretazione attoriale a tutto tondo e una regia che immerge facilmente lo spettatore nelle immagini evocate dalla protagonista, quasi scorressero lì sulla scena. Lettere, vestiti, parole, ricordi: tutto sembra evocare e rendere centrale quel personaggio che nemmeno appare, ma che è il centro dei pensieri della donna. Tutto concorre a “comporre il museo di suo figlio”, così come si fa con ciò che appartiene al passato e che non tornerà.
Emma B. – Vedova Giocasta
di Alberto Savinio
con Elena Croce
regia Alessio Pizzech